E’ morto Nils Liedholm 6 novembre 2007, di Redazione Trova-Roma.com
L’ex tecnico di Roma e Milan, Nils Ledholm, è scomparso ieri a Cuccaro, nel Monferrato. Aveva 85 anni.
A un amico con il quale pranzò nei mesi scorsi a Cuccaro, Nils Liedholm raccontava di come si allenasse tutti i giorni al pallone con i suoi cani: «E’ un esercizio utilissimo - diceva - perché loro si muovono come se fossero dei difensori». E al commensale che gli chiedeva se alla sua età avesse smesso quella pratica, replicò: «Non è per l’età, è che sono morti i cani». Questo era Liedholm, l’uomo che tratteggiava il calcio come un racconto surreale ma ne spremeva la sostanza negli scudetti vinti e sfiorati, nei giovani che cresceva, nei contratti che lo resero ricco da soddisfare il suo sogno di bambino: fare l’agricoltore. Nel ‘73 comprò un appezzamento tra le colline del Monferrato, Villa Boemia, e si mise a produrre vino. Per lui non ce n’era di migliore perché Nils, il Barone, affrontava la vita convinto di trarne sempre il meglio.
E’ stato un grande che ha attraversato il secolo del calcio. Era nato l’8 ottobre 1922 in un paese di 9 mila anime, Valdemarsvik, sulla costa orientale della Svezia. Lì avevano impiantato nell’800 una delle più importanti concerie d’Europa e lui raccontava di essere cresciuto percependo il fetore delle lavorazioni mescolato al profumo dei prati dove giocava. Era bravo ma non fu un talento precoce: aveva 26 anni quando partecipò alle Olimpiadi di Londra. Vinse la Svezia, Nils fu proiettato dal piccolo Norrkoeping nel calcio dei professionisti: lo comprò il Milan insieme a Gren, il «professore», e al pompiere Nordahl.
Nacque il Gre-No-Li. Un attaccante di formidabile potenza, un cervello di straordinarie geometrie e un centrocampista completo per quei tempi di calcio rallentato, anche se lui sosteneva che «i grandi giocatori sarebbero grandi in qualunque epoca perché sono i più facili ad adattarsi». Vinse quattro scudetti. «Noi tre rappresentammo il momento più elegante del calcio italiano - raccontava nel suo italiano mai perfetto -, proseguito da Schiaffino e poi da Rivera. Fu la scuola del Milan, nella quale si sono formati allenatori come Trapattoni, Bagnoli, Radice. Quello per cui la gente si entusiasma adesso, nasce da lì». Di se stesso alimentava leggende. «Una volta a San Siro tirai così forte che la palla picchiò contro la traversa e ritornò nella nostra area». Oppure: «Sbagliai un passaggio e si sentì per tutto lo stadio un oh di meraviglia. Da due anni non ne sbagliavo uno». Sorrideva persino raccontando la finale persa ai Mondiali del ‘58 contro Pelè. Aveva segnato il primo gol, uscì per infortunio sull’1-1. «Vinse il Brasile - diceva - ma non c’è mai stata una squadra più forte di quella Svezia».
Quando a 39 anni chiuse la carriera di calciatore, aprì quella di allenatore. Dal Milan del campo al Milan in panchina. Non fu precoce e fulmineo nemmeno come tecnico. «Perdeva un’infinità di ore per insegnare il calcio ai giovani - ricorda Ancelotti - e si fermava a tirare ai portieri, la cosa che lo divertiva di più». Ancelotti lo volle ventenne alla Roma, strappandolo all’Inter: come aveva fatto a Varese con Bettega e poi con Baresi ragazzino nello scudetto della stella milanista e con Paolo Maldini. Ogni tanto smarriva il fiuto. Per lui Valigi e Strukely sarebbero stati grandissimi: chissà cosa vedeva quelle volte ma la conta dei talenti supera largamente quella della cantonate.
Insegnava un calcio fatto di possesso della palla e difesa a zona, leggiadro ed elegante. Quasi signorile. Non c’eravamo abituati, ci voleva la sua testa per inventare un libero come Di Bartolomei. Da una parte Nils e dall’altra il Trap nell’Italia che si divise sul fuorigioco di Turone, anno 1981, un punto di non ritorno. Lui lo commentò senza acredine sul filo dell’ironia: «Abbiamo buttato alle ortiche un’occasione unica ma la Roma è una squadra di tradizione giovane e può darsi che siamo stati ingenui». Altri tempi, sicuramente altro stile. Lo scudetto l’avrebbe vinto due anni dopo e la Coppa Campioni l’avrebbe gettata nella finale dell’Olimpico, ai rigori contro il Liverpool, ultimo grande atto di una carriera straordinaria, percorsa tante volte sul tratto Milano-Roma da dimenticare le altre fermate, a Monza, a Firenze, a Verona. Con il tratto del maestro, con l’ironia del genio che tenne fuori un giocatore dicendogli: «Tu hai già giocato ieri», peccato che la partita del giorno prima non si fosse disputata per il maltempo. E quello, sorridendo, andò in panchina.
Fonte: La Stampa |